La Corniceria Galaverni compie quarant'anni. Proviamo a ricordare l'inizio di questa vicenda, esattamente il 25 giugno 1960 - alcuni giorni prima che Reggio fosse scossa e segnata da eventi dolorosi...
Fino al 1960 avevo lavorato alla Cooperativa Falegnami di Reggio Emilia - facevo arredamenti e infissi, soprattutto. Spesso il lavoro mi portava fuori, a Roma, a Venezia. Nella nostra città avevo lavorato all'Hotel Astoria, alla stazione ferroviaria, in negozi del centro: mi occupavo della finitura sul posto dei manufatti in legno. Venni in quell'anno a sapere che Ermete Cabassi - il quale aveva, pure lui, lavorato un tempo in Cooperativa Falegnami e che poi aveva aperto una Corniceria, prima in Via Caggiati e poi in Via dell'Aquila - intendeva cedere la sua attività. Come diceva l'insegna sul negozio, Cabassi si occupava di "vetri, cornici e specchi" - insomma, le cornici non erano per lui l'oggetto principale di attività.
Immagino che non sia stato facile decidere di fare il salto, da operaio a artigiano, anche se la nostra realtà vanta una tradizione straordinaria in questo senso...
Non fu, ovviamente, una scelta facile, ma ciò che alla fine mi convinse ad accettare la proposta di Cabassi furono le facilitazioni di pagamento che lui mi concesse. All'inizio, continuai a occuparmi di vetri, cornici e specchi; poi, gradualmente, eliminai prima la lavorazione degli specchi e poi quella dei vetri, per arrivare a fare solo cornici. Certo, se veniva un cliente che aveva bisogno di un vetro, lo servivamo, ma non andavamo più a fare lavori o montaggi nelle case.
Rilevai l'attività di Cabassi con i dipendenti che aveva. Erano tre, tutti ragazzi molto preparati. Al mio fianco, per i primi sei o sette mesi, c'era mio cognato, che poi se ne andò. Nel decennio tra il 1960 e il 1970 si compì la trasformazione cui ho appena accennato, verso l'esclusiva produzione di cornici. Mio figlio Libero cominciò a lavorare da noi proprio nel 1970.
Ritorniamo ancora più indietro, parliamo un po' di Galaverni giovane, della tua "educazione professionale"...
Credo basti dire che sono nato a Reggio, a Roncocesi, il 17 luglio 1927. Mio padre faceva il muratore e mia madre era casalinga. A quattordici anni, nel marzo del 1942, fui assunto come garzone alla Cooperativa Falegnami di Gardenia, dove c'erano dei maestri che formavano chi era appena entrato. Frequentai anche, per tre anni, quella che allora si chiamava "Scuola d'Arte per Operai Gaetano Chierici". La giornata lavorativa in Cooperativa era di otto ore, ma tre ore al giorno, dalle 10 alle 12.45, andavo a scuola, secondo un modulo di solidarietà che coinvolgeva studenti, insegnanti e aziende: un'ora veniva pagata dalla Cooperativa, una era a nostro carico e una veniva offerta dagli insegnanti. Ci facevano lavorare sul disegno tecnico a matita e sulla realizzazione di quel disegno. Ci andai fino al 1942-43. Nel mio lavoro alla Cooperativa Falegnami, ho incontrato architetti che mi hanno dato molto, che hanno gettato dentro di me dei semi che poi sarebbero cresciuti. Nel periodo in cui lavoravo dentro l'Hotel Astoria, c'era un bravissimo architetto, Ramponi - dico "c'era" perché purtroppo non ci sarà più - che volle abbellire la tavernetta con litografie e opere grafiche, acquistate da Prandi, di Campigli, De Chirico, Sassu. Era un grande appassionato e esperto; mi parlava di questi artisti, della loro vita: gli piaceva più parlare di artisti che non di progetti. Mi ha aperto degli orizzonti, ha smosso in me delle cose che, quando frequentavo la Gaetano Chierici, non erano saltate fuori... Ricordo ancora l'architetto Contini di Milano, e a Venezia, per un altro lavoro, un architetto, di cui non ricordo il nome, che mi chiamava, con le carte in mano, e mi diceva: "Vieni qui che ti devo fare vedere una cosa"; stavo mezz'ora a bocca aperta a ascoltarlo... Potrei dire che alla Gaetano Chierici ho fatto le elementari, che questi incontri durante il lavoro alla Cooperativa Falegnami sono stati le superiori, e che il rapporto con gli artisti è stato l'università.
Ritorniamo a parlare delle vicende della Corniceria. Quando cominciasti a proporre opere d'arte ai clienti che venivano per incorniciare opere?
Da subito, molti pittori reggiani erano nostri clienti, portavano loro opere da incorniciare. Fu così che stabilimmo rapporti con Gino Gandini, Rina Ferri, Nello Leonardi, Mario Novellini, Alberto Manfredi, Achille Incerti, Vittorio Cavicchioni, Bruno Olivi, Ettorre. Qualcuno di loro cominciò a portare opere da mettere in vendita. Manfredi, ad esempio, ci lasciava delle sue incisioni in cambio di cornicette antiche che lui amava molto e che collezionava: facevamo dei cambi - due cornici per un'incisione. Avevamo anche opere di Ligabue e disegni del primo Novecento - Tirelli, Gaetano e Alfonso Chierici, Nina Ferrari, Ottorino Davoli.
Un giorno venne in negozio un fattorino del Comune. Risultava che io vendevo quadri e lui era venuto a pormi, a nome dell'Amministrazione, l'aut-aut: o prendevo la licenza o sospendevo la vendita dei quadri. "La licenza è facilissima da prendere", mi disse, "deve solo fare la domanda". Senza alcuna formalità particolare, ottenemmo la licenza.
Il nostro laboratorio era, allora, di fianco alla Sinagoga, in via dell'Aquila, negli stessi locali dove avrebbe poi operato la Tipolitografia Emiliana. In quegli anni, avevamo nell'ingresso, dove ricevevamo i clienti, il campionario delle cornici e sopra, appese fino al soffitto, che era molto alto, c'erano le opere in vendita. Cominciammo a farci tanti amici; iniziarono le discussioni, i confronti...
So che molti dei rapporti che allacciaste in quegli anni con tanti artisti italiani erano procurati da artisti reggiani, che assumevano il ruolo del moltiplicatore di contatti e del garante...
Alberto Manfredi ci fece conoscere Mino Maccari, Arnoldo Ciarrocchi, Duilio Rossoni. Bruno Olivi ci introdusse a Pompilio Mandelli, Ilario Rossi, Lorenzo Ceregato. Queste nuove conoscenze, a loro volta, ci presentavano altri artisti - Ciarrocchi, ad esempio, ci fece conoscere Fiorella Diamantini - o ci parlavano dei loro amori - ad esempio, Rossi stravedeva per Carlo Corsi, mentre Mandelli stimava molto Morlotti.
Quando avvenne il trasferimento nei locali che ora occupate, non più di fianco ma di fronte alla Sinagoga?
Fu nel 1971. Predisponemmo allora due salettine, rivestite di tela juta, e cominciammo a esporre, come in una galleria, litografie, incisioni, dipinti.
Quale fu la mostra d'esordio dell'attività della Saletta Galaverni?
Iniziammo l'attività espositiva, sempre nel 1971, con una mostra di tredici acquerelli e tredici incisioni di Alberto Manfredi, accompagnata da un libretto con tredici poesie di Leonardo Castellani. La mostra ebbe un grande successo: vendemmo praticamente tutto, anche due o tre esemplari di ogni incisione. Seguirono, nello stesso anno, le mostre dedicate a Bruno Olivi, Mario Francesconi, Orfeo Tamburi, Giacomo Fontanesi.
Non vale la pena ripercorrere qui tutte le vostre mostre, fino a oggi - questo catalogo riporta, negli apparati, tutte le esposizioni e le edizioni della Saletta Galaverni, che hanno avvicinato, in tutti questi anni, tante persone all'arte, hanno seminato interessi e voglia di capire, hanno davvero fatto cultura. Vorrei, invece, chiederti quali sono stati gli artisti che ti hanno dato più soddisfazioni - non mi riferisco solo e tanto all'aspetto economico, ma anche a quello umano, che so essere per te prevalente, all'amicizia che hai stabilito con alcuni di essi?
Il primo nome che debbo fare è quello di Maccari, non solo perché le sue opere si vendevano bene o lui era molto generoso con noi, ma per la sua personalità esuberante e per tutto quello che mi ha insegnato - lui sapeva suggerire senza imporsi: non diceva mai "deve fare così", ma "cosa ne direbbe, Galaverni, cosa ne penserebbe di fare così?".
Poi, devo citare Manfredi: è stato un maestro di vita, ci ha fatto conoscere tutte le tecniche grafiche e dei pezzi unici su carta (disegno, acquerello, pastello...). Ci ha aiutato a crescere, ci ha, in fondo, "slattati". Abbiamo lavorato con lui tanto e bene, ci ha messo in contatto con molti artisti importanti, ovviamente legati al suo filone, dato che lui non ama l'astrazione. Con lui c'è stato un rapporto intenso, un dialogo pressoché quotidiano, dal 1960 al 1985; resta un amico vero.
Così non posso tacere l'amicizia con Gino Gandini e Rina Ferri, con Poli, Olivi, Ciarrocchi, Francesconi, la Diamantini, Rognoni, Biasion, Mandelli, Rossi, Zauli, Brunori, Nani Tedeschi...
Carlo Mattioli ci ha dato, negli anni Settanta, prima che diventasse famoso, molte soddisfazioni: vendevamo praticamente tutto quello - poco, in verità - che lui ci dava.
Di molti artisti, infine, come era avvenuto all'inizio della nostra attività, incornicio le opere: andavo spesso da Biasion per questo motivo; ora lavoro con Adami. Quando un artista dice che hai incorniciato bene la sua opera, credo si sia accorto che so apprezzare quell'opera.
Oltre che con artisti, abbiamo stabilito rapporti di collaborazione, di amicizia, di scambio con gallerie. Penso, in particolare, a Prandi di Reggio Emilia e a Pananti di Firenze.
Torniamo al rapporto con Mino Maccari. Non solo hai organizzato mostre, ma sei stato spesso da lui, e quindi l'hai conosciuto bene...
Sono andato da lui tantissime volte. Potevi parlare di musica, di teatro, di cinema, di fatti del giorno, che lui era sempre informato. Non ti faceva mai pesare la sua cultura: dava importanza a quello che diceva il suo interlocutore, vi aggiungeva qualcosa di molto significativo e metteva le due affermazioni sullo stesso piano. Sapeva insegnarmi delle cose in un modo che sembrava un gioco. "Come lei ben sa", esordiva spesso, anche se io proprio non lo sapevo; "adesso lo so, professore, perché me l'ha detto lei", osservavo... Anche quando si trattava di decidere qualcosa, non diceva mai "bisogna che lei...", ma faceva in modo che le scelte fossero una mia idea... Detestava e prendeva in giro i sapientoni, quelli che credono di avere capito tutto. Ricordo che una volta un signore venne da lui per sottoporgli l'autentica di un disegno fatto in occasione dell'inaugurazione di una mostra. Maccari cercava di sottrarsi, ma il collezionista insistette tanto che alla fine lui prese il disegno e vi scrisse dietro: "questo brutto disegno è stato fatto da me in occasione....".
La sua generosità era proverbiale, e davvero unica. "Se ci fosse l'albo dei pittori, sarebbe da espellere, perché non ne rispetta le regole", disse una volta sorridendo Ciarrocchi, alludendo a questo suo aspetto del carattere.
Era un trascinatore entusiasta e gioioso, la grande personalità che ti sapeva aiutare e incoraggiare, un uomo leale e saggio che non potrò mai dimenticare.
C'è qualche altro tratto umano degli artisti che hai conosciuto che vorresti ricordare?
Mattioli era rigorosissimo, pignolo, un perfezionista assoluto che detestava la faciloneria; a volte era difficile lavorare con lui, ma capivo che aveva ragione. Era molto riservato e non accettava una battuta scherzosa - so che quando a Ubaldo Bertoli, suo e mio amico, capitava di fare dell'ironia, Mattioli poteva stare una settimana senza parlargli... Ma dietro c'era un grande sapere, una grande cultura.
Anche Brunori amava il rigore, ma diceva tutto quello che pensava con una libertà estrema.
Mandelli è riservato, ma molto umano; Rossi era scherzoso, amava le battute; Zauli ti mette sempre a tuo agio, come ogni vero romagnolo. Francesconi è straordinario: è un amico vero, di cui senti sempre, nelle parole al telefono, l'affetto, anche se capita di non vedersi per mesi o per anni.
Questi di cui hai parlato sono stati gli artisti con cui hai, quasi esclusivamente, lavorato dall'inizio della tua attività. Cinque anni fa, questo gruppo si è arricchito di altri nomi: Adami, Benati, Licata, Tadini, Valentini, Avati, Assadour...
E' stato un po' un nuovo inizio, una svolta per la nostra Saletta. E anche in questa occasione, come nel 1960, c'è stato un fenomeno di trasmissione, di contagio di conoscenze: tu ci hai presentato certi artisti, che a loro volta sono diventati cari amici. Con Avati, ad esempio, non ho la confidenza che avevo con Maccari, ma ha lo stesso suo cuore... Con Davide Benati e Walter Valentini, ad esempio, è nata una bella amicizia.
Ho sempre cercato, fin dall'inizio - e continuo su questa strada - di avere rapporti diretti con gli artisti, non solo per ragioni economiche, ma anche perché, come ho già detto, sono andato a scuola da loro: non potrei ricordare nessun artista che non mi abbia dato o insegnato qualcosa, anche se ci vuole distacco, se quello che dicono va ovviamente filtrato.
Tu sei, come dimostra anche questa casa, un appassionato d'arte. Quelli che fanno il tuo mestiere e sono, contemporaneamente, collezionisti, fanno a volte fatica a separarsi dalle opere...
Anche a me è capitato, tante volte, di innamorarmi di certe opere - alcune sono qui a casa mia, testimonianza di rapporti umani che non possono essere dimenticati o cancellati. Alcuni autori sono rappresentati con un'opera o due; altri, come Maccari, con tante... Noi abbiamo trattato la grafica, che ti permette di avere più esemplari della stessa opera...
So che il vero commerciante non si dovrebbe innamorare, ma a me e a Libero capita ancora di innamorarci, soprattutto se l'autore è un amico. Quel mercante che non si innamora mai di un'opera, del resto, forse ha poca sensibilità...
E' senso comune che la Saletta Galaverni rispetti i prezzi di vendita indicati dagli artisti, mentre ci sono mercanti che dei listini fanno carta straccia. Perché, fin dall'inizio della tua attività, ti sei attenuto a questo principio?
Per due ragioni di fondo: per rispetto verso l'artista; per essere più lungimirante negli affari. Ovviamente, questo discorso funziona se si trattano opere belle, di qualità. Vendere un dipinto di qualità, di un artista che si stima, per il quale si investe (cataloghi, fiere, e così via), guadagnando solo il 10%, non ha senso, nemmeno economico. Quando un commerciante dispone di un'opera importante, significativa, e la vende a prezzi troppo bassi, non ha sensibilità, non ha occhio. In quel caso serve essere amanti delle opere, sapere vedere il valore di quella particolare opera.
Occorre, come dicevo, avere rispetto per gli artisti - che poi sapranno essere generosi. Certo, non tutti gli artisti meritano questo tipo di rispetto con il loro comportamento disinvolto, come succede quando vendono nel loro studio alle stesse condizioni che praticano al mercante. Per rispettare questo principio, un commerciante deve essere disposto a sostenere, a volte, una sofferenza economica. Capisco quelli che, per ragioni di necessità impellenti, sono costretti a vendere a un prezzo basso, magari favorendo gli amici, anche se c'è chi fa così con tutti i clienti, come pratica corrente di commercio, senza bisogni o urgenze. Insomma, "vendono a meno per vendere di più", ma non credo ci sia lungimiranza nello svendere opere di artisti importanti.
Nel nostro caso, devo riconoscere che l'attività di corniceria ci aiuta a sostenere quella di galleria. Sono due settori che si amalgamano e si sostengono l'un l'altro. Non ci sentiamo obbligati, per fare quadrare i conti ogni mese, a vendere a qualsiasi prezzo, e ciò ci da respiro.
Parliamo ora del rapporto con i clienti in generale, e con i collezionisti in particolare, cercando anche qui di gettare luce sui rapporti allacciati, sulle soddisfazioni ricevute...
C'è molta gente che viene da noi per cercare un regalo per amici e parenti, e ci sono collezionisti che magari possiedono dieci o dodici opere acquistate da noi. Con alcuni di essi si è stabilito negli anni un rapporto di amicizia e di scambio di opinioni.
In genere, devo dire che noi aiutiamo a cominciare le collezioni, rispettando i gusti e la cultura del cliente, magari proponendo opere di artisti seri, che non abbiano prezzi troppo alti, e che avrebbero meritato maggiori riconoscimenti di fama e di mercato. Mi sento un divulgatore, più che un commerciante: mi piace accompagnare il cliente nel suo viaggio alla scoperta dell'arte.
Sono quarant'anni che fai questo mestiere e quindi puoi parlarci dell'evoluzione nel collezionismo, che sempre non è virtuosa - penso al successo delle vendite televisive o di quelle "porta a porta", o al fatto che molti pseudo-collezionisti sembrano legati, nella loro valutazione della qualità dell'opera di un artista, all'evoluzione dei suoi prezzi di vendita, oppure decidono di restituire al gallerista opere di un artista che da qualche anno non fa più mostre: per questi, sembra che l'opera d'arte non sia nulla di diverso da un titolo di borsa...
C'è stata, indubbiamente, un'evoluzione dei gusti generali: si è passati dal realismo - la tendenza quasi esclusiva quando abbiamo aperto la nostra attività - all'arte astratta, che ora viene apprezzata non solo da pochi conoscitori. Certo, oggi il collezionista è più preparato di un tempo, dispone di tante fonti di informazione e quindi conosce spesso gli autori e i loro prezzi, ha gusti più precisi. Il collezionista, anche piccolo, viaggia, si informa, visita mostre, vede, discute. Le stesse persone che vengono da noi per scegliere un regalo hanno mutato i loro gusti. Succede ancora, ma sempre meno, che qualcuno entri e dica: "Galaverni, ci consigli". Quello che cerco di continuare a fare è di offrire tante opportunità, credo di qualità, di insistere sugli artisti in cui credo, di mantenere un buon livello di proposte espositive.
Se tu fossi chiamato a fare un bilancio di questi quarant'anni - al di là del fatto che questa attività ti abbia permesso di vivere -, cosa diresti?
Mi sono realizzato in un modo che non avrei mai pensato o potuto fare se fossi rimasto alla Cooperativa Falegnami.
Che auguri ti fai?
Come disse Santomaso quando compì ottanta anni, "rispetto a quello che vogliamo fare, quello che abbiamo fatto finora non è niente!". Certo, diventa sempre più difficile combinare le due attività - ci vuole tempo per andare a trovare gli artisti, per mantenere una continuità di programmi -; a volte, si trascura l'attività di galleria perché si è presi dalle cornici che si devono finire. Comunque, diamo appuntamento a tutti per le celebrazioni dei 50 anni della Saletta Galaverni!
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